La testimonianza di don Valerio, che dopo 36 anni, lascia la sua amata missione in Africa e rientra in Italia

Da “Fraternità e Missione”, Novembre 2022

Se fosse dipeso tutto soltanto dalla mia scelta, gli ultimi 36 anni della mia vita forse non li avrei passati in missione a Nairobi, in Kenya, ma in America Latina, dove vivevano già alcuni miei amici. Ma la mia vocazione è nata innanzitutto come risposta all’invito di condividere l’esperienza del movimento di Comunione e liberazione, che avevo incontrato appena due anni dopo la mia ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1964. Fu don Luigi Giussani nel 1984 a dire che dovevamo «svuotare lo Stivale» e io diedi subito la mia disponibilità. Un mese dopo, a settembre, san Giovanni Paolo II disse al movimento per il trentesimo anniversario della sua nascita: “Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace che si incontrano in Cristo Redentore. Prendete il peso di questo bisogno ecclesiale: questa è la consegna che oggi vi do”.

Se sono partito per Nairobi nel 1986 è perché il cardinale Maurice Otunga e un padre comboniano, Marangoni, fondatore della Congregazione missionaria degli Apostles of Jesus, chiesero la presenza di un prete e di alcuni Memores Domini, soprattutto per educare alla fede i giovani studenti e gli universitari, ma anche per aprire in una periferia a sud della città una nuova scuola professionale, Apostles of Jesus Technical Institute. Allora non facevo ancora parte della Fraternità san Carlo: la prima casa della Fraternità a Nairobi nacque nel 1993 con don Roberto Amoruso e ripartì nel 1997 – quando il mio vescovo mi diede finalmente il “nulla osta” per entrare nella Fraternità – con l’arrivo di don Alfonso Poppi e l’inizio del lavoro parrocchiale.
L’Africa era all’inizio per me un continente sconosciuto, ma ero certo che ciò che avevo incontrato nel movimento potesse rispondere alle domande del cuore degli africani. Partii con entusiasmo all’idea di condividere la bellezza della fede. Non volevamo però trapiantare il movimento in Africa, ma viverlo di nuovo assieme ai nostri amici africani. Ciò che li colpiva di più era soprattutto la nostra esperienza di casa (vivevo infatti insieme ai Memores Domini), dove spesso li invitavamo. Abituati a un’esperienza cristiana molto “spirituale”, una convivenza come la nostra che affrontava tutta la vita li affascinava.
Per quanto mi riguarda, dell’Africa mi ha sempre stupito la profonda religiosità (il “senso religioso”), che permea tutti gli aspetti della vita, anche se può essere vissuta in modo fatalista e indebolire la responsabilità personale. Ho sempre trovato poi giovani molto disponibili davanti all’esperienza cristiana: non si incontrano in Africa tutte le obiezioni che normalmente hanno i giovani in Italia. A scuola non ci limitavamo a insegnare un “mestiere”, ma abbiamo sempre cercato di trasmettere il senso e la bellezza del lavoro e della vita. Nacquero così le prime comunità di Comunione e liberazione, anche grazie (e attorno) ad alcune famiglie che passarono con noi diversi anni.
Posso dire però di essermi sentito veramente a “casa” solo con l’arrivo della Fraternità: la condivisione quotidiana di un luogo con altri sacerdoti è stata fondamentale per il mio cammino vocazionale e il mio lavoro missionario. La casa dei Memores e la casa della San Carlo sono state e sono il cuore del movimento: è stata soprattutto l’unità fra di noi a essere un segno “credibile” della nostra esperienza. Ad arricchire questa presenza nel 2012 sono poi arrivate le Missionarie di San Carlo Borromeo.
La nostra presenza nel quartiere di Kahawa Sukari, nella periferia di Nairobi, si è rafforzata grazie all’esperienza della parrocchia. Mi ha sempre stupito constatare che la fede è in grado di generare una trama di rapporti e di unità tra persone che, provenendo da diverse parti del paese, non avevano alcun legame tra loro, se non quello dell’appartenenza alla stessa tribù. Da questa comunità viva, aperta ai bisogni e alle persone vulnerabili, sono nate diverse opere caritative: il Meeting Point per le persone malate di Aids e l’Ujiachilie, per i bambini con disabilità.

Non penso sia un caso che l’esperienza del movimento in Kenya sia cominciata in una scuola. Molte volte don Massimo Camisasca prima e don Paolo Sottopietra poi hanno insistito sull’educazione come la strada per cambiare il futuro di questo paese piagato da una “corruzione endemica” che indebolisce la responsabilità a lavorare per il bene comune. Solo l’educazione può cambiare questa mentalità e solo un’esperienza cristiana può insegnare a vivere la responsabilità come servizio.
Anche per questo sono nate varie scuole nella parrocchia: la scuola materna Elena Mazzola Kindergarten, la primaria Urafiki Carovana School e la secondaria Cardinal Otunga School. Un posto speciale nel mio cuore lo manterrà però sempre la scuola di St. Kizito, dove ho insegnato per 28 anni. Quando aprì, aveva sessanta studenti e tre corsi professionali. Oggi ha circa ottocento studenti e più di dieci corsi. Tanti studenti, dopo il diploma, sono tornati a ringraziarci per quello che avevano imparato riguardo al lavoro e alla vita. In particolare, ricordo con affetto la testimonianza di uno studente del corso da elettricista: “A quel tempo prendevo droghe e venni anche sospeso dal direttore perché fumavo marijuana. Mi fu data però una seconda possibilità e incontrai degli amici in classe che mi incoraggiarono ad amare la mia vita e a vivere in modo serio. Mi fecero conoscere Comunione e liberazione, attraverso cui sono cresciuto nella fede. Alla St. Kizito non ho imparato solo un mestiere: il 27 aprile 2019 sono stato battezzato e il direttore della scuola è stato il mio padrino”.
Mi piace riassumere la mia esperienza lunga 36 anni in terra d’Africa con queste parole piene di speranza di Benedetto XVI: «Questa freschezza del sì alla vita che c’è in Africa, questa gioventù che esiste, che è piena di entusiasmo e di speranza, anche di umorismo e di allegria, ci mostra che qui c’è una riserva umana, c’è ancora una freschezza del senso religioso e della speranza; c’è ancora una percezione della realtà metafisica, della realtà nella sua totalità con Dio (…) sulla quale possiamo contare».

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